25 novembre. La giornata dedicata alla violenza sulle donne. La morale si riveste di rosso, mentre la coscienza cerca di sovvertire il senso immorale con cui la violenza sia diventata parte attiva del costume quotidiano.
Il volo non s’invola (Europolis, 2017) è il libro che Maria Licastro consegna con coraggio al lettore, accompagnandolo dentro uno spazio in-reale in cui la violenza moltiplica la sua azione, offrendo ai suoi interpreti maschere con cui nascondere l’ignoranza affettiva dei propri attori.
Perché hai deciso di raccontare questa brutta storia?
Perché sono l’esempio più reale, il paradosso, per dimostrare che si può sconfiggere la violenza non solo uscendo dall’omertà e dal silenzio che il pudore impone alla vittima, ma accusando apertamente il linguaggio maschilista con cui noi donne costruiamo gli alibi per difende i carnefici. Ho un’età in cui la maturità può fare i conti con il proprio passato, offrendo oggi, alla bambina che ero, il diritto di replica, sia nei confronti di chi si è preso la mia innocenza, sia verso chi, con la sua ignoranza affettiva, invece di proteggermi mi ha offesa.
Nel Suo libro racconta quattro tipologie di uomini: tuo nonno, colui che ti ha protetto, tuo padre, il padrone della tua identità, il violentatore, l’agnello che improvvisamente si trasforma in lupo e tuo marito, l’amore, la rinascita e il coraggio con cui la vita da un senso alle cose. Uomini. Ma la violenza è solo una questione di genere?
Io sono calabrese, sono nata a pochi chilometri da Tropea. Nel ’68, il vento di rivoluzione per me fu la nascita della bambina che la violenza mi aveva donato. Può sembrare un paradosso, ma la scelta di non dichiarare il nome del ragazzo che mi aveva violentata è stato, in quel preciso momento storico, il mio vessillo con cui ho affrontato la guerra dei pregiudizi. Sarebbe stato logico, secondo costume, accettare un matrimonio riparatore, ma all’atto pratico questo avrebbe garantito a lui di perpetrare il gesto, legalizzandolo nella morale delle mura domestiche. Ho scelto di essere Maria, combattendo contro l’odio di un padre che, per questione d’onore, ha cercato più volte di uccidermi. I pregiudizi falsano la realtà delle cose. La violenza non è un fatto di genere. Parte da una cultura familiare dove spesso è la madre a trasmettere ai figli il linguaggio maschilista e, per assurdo, perpetrarne nelle figlie il pregiudizio e il falso pudore che questo idioma impone. L’esempio è mia madre, ha subito la violenza di mio padre, perdendosi la bellezza di amarmi come figlia. Quando mi sono sposata, il meccanismo contorto di questo linguaggio, si è riversato su mio marito. La sua famiglia, infatti, ha condannato il suo gesto, spogliandolo di quell’armatura affettiva con cui la famiglia ci protegge dalla superficialità del senso comune.
In questo tempo presente, che cosa vorresti raccontare a tutte le Marie che leggeranno la tua storia?
Di ritrovare la dignità del proprio corpo. Di capirne i propri confini e proteggerli da una mercificazione con cui noi stesse sminuiamo la nostra persona. Non è questione di pudore, ma di rispetto. Molte ragazze si illudono che un numero consistente di “mi piace” virtuali ne definiscano la loro persona. Così facendo si spogliano della loro anima, rafforzando il preconcetto che una donna sia solo un oggetto, un contenitore da riempire, un giocattolo, una cosa da buttare non appena ha cessato di essere fonte di divertimento. La libertà con cui abbiamo semplificato il concetto di parità sessuale, offende la natura femminile con cui noi donne facciamo la differenza. Abbiate coraggio di essere Donne prima di tutto.